Gli attivisti per il mondo più giusto lottano sempre per noi

In questi tempi di epidemia ci dimentichiamo coloro che combattono per le giuste cause di libertà dei popoli e dei territori. Un pensiero a subisce repressione e carcere anche in "democrazia".

Tempo di lettura: 9 minutes
di Lisa Ariemma (*) per Tgvallesusa.it

Una delle tante sfide della pandemia di Covid-19 è stare al passo con tutti gli altri eventi che si svolgono nel mondo, continuare a considerare le questioni a noi care e ricordare le persone che si trovano in mezzo a lotte importanti.

In Italia e altrove, siamo tutti costretti a rinunciare temporaneamente a molti dei nostri diritti democratici: la libertà di movimento – nella mia Regione Piemonte non possiamo muoverci al di fuori del nostro comune senza giustificazione; il diritto all’istruzione – troppi giovani hanno una tecnologia inadeguata per la didattica a distanza, non riescono a concentrarsi a fronte di sei ore davanti a uno schermo e a volte mancano di sostegno psicologico; e l’accesso all’assistenza sanitaria – le persone muoiono perché hanno paura di andare in ospedale o non possono farsi curare o fare analisi importanti.

La pandemia ci ha mostrato quanto siamo interconnessi: come il cambiamento climatico, i virus non si fermano alla frontiera; ma anche quanto sia disparata la nostra capacità di soddisfare i bisogni di assistenza sanitaria, di continuare a educare i nostri giovani, di proteggere i nostri cittadini più fragili e di assistere economicamente coloro che soffrono di più a causa delle varie politiche in atto per fermare la diffusione del virus.

Un’altra ripercussione di questa situazione è che siamo così concentrati a non ammalarci, a pagare le nostre bollette, a rimanere sani di mente, ad aspettare che quel vaccino sia pronto, che abbiamo poche energie per altro.

Ultimamente ho per la testa tre persone che sono legate a me e temo che le loro lotte e i loro sacrifici siano stati messi in secondo piano: Esraa Abdel Fattah, giornalista egiziana e difensore dei diritti umani; Abdallah Abu Rahma, co-fondatore del movimento di resistenza Bilin e parte della Commissione di Colonizzazione e Resistenza del Muro dell’Organizzazione per la Liberazione Palestinese e Dana Lauriola, assistente sociale e membro del movimento No TAV. i Il filo conduttore che ci lega è il nostro attivismo.

Ho incontrato Esraa e Abdallah al convegno IndignaCtion,ii organizzato dalla Fondazione Anna Lindh, tenutosi a Lussemburgo nel settembre 2012. Non ricordo come esattamente Esraa e io abbiamo legato a quell’evento, ma siamo diventate amiche e poi abbiamo avuto il piacere di approfondire la nostra amicizia passando del tempo insieme ancora una volta in Sicilia a un’edizione del SabirFest,iii una celebrazione culturale del Mediterraneo.

Ricordo in particolare una passeggiata un pomeriggio lungo una spiaggia di Messina durante la quale raccoglievamo pezzi di piastrelle colorate consumate dal mare. È minuta, modesta e piuttosto timida per essere stata nominata per il premio Nobel per la Pace come co-fondatrice del Movimento Giovanile del 6 aprile, che è diventato il motore delle proteste di strada del 2011 durante la primavera araba egiziana.

Da sinistra: Avvocato per i diritti umani libico Abdulhafid Sidoun, Esraa Abdel Fattah e Lisa Ariemma a IndignaCtion.

Ricordo però molto bene come Abdallah e io ci siamo conosciuti quel settembre in Lussemburgo. Avevo appena presentato il movimento No TAV della Val di Susa, dove vivo, per terminare con un videoiv che illustrava la brutalità della polizia e dei soldati italiani mentre sfrattavano gli attivisti che occupavano il territorio per fermare la costruzione di un tunnel di 57 km attraverso le Alpi nell’ambito di un progetto ferroviario ad alta velocità. Dopo il video, si è avvicinato a me, ha allungato la mano e ha detto: “Siamo uguali”.

Ho avuto il piacere di passare del tempo con Abdallah in altre due occasioni; una volta come attivista No TAV in Cisgiordania e l’altra con lui come mio ospite nella mia valle. Quando l’ho portato al cantiere del TAV, occupato militarmente dal giugno 2011, si è sentito a casa vedendo il filo spinato di tipo israeliano che ricopriva le cime delle recinzioni e le stesse cartucce di gas lacrimogeno vuote, usate contro i palestinesi in Cisgiordania, lungo i sentieri di montagna.

Che io abbia incrociato Dana a una manifestazione o a un’assemblea o meno, lei è un’attivista No TAV e quindi la sua è la condizione di tutti coloro che, come me, lottano contro le grandi opere inutili e imposte: antidemocratiche nella loro pianificazione e inutili nella loro realizzazione. È anche vittima, come Esraa e Abdallah, di una discriminazione sistemica, di una magistratura ingiusta.

Perché ho questi attivisti nei miei pensieri? Esraa Abdel Fattah è stata rapita da agenti in borghese, arbitrariamente detenuta e torturata il 12 ottobre 2019. Dopo il suo arresto, è stata minacciata e picchiata per essersi rifiutata di fornire la password per sbloccare il suo cellulare. La sua felpa è stata poi usata per strangolarla mentre le veniva detto: “La tua vita per il telefono”.

Alla fine ha rivelato il suo codice ed è stata costretta a rimanere ammanettata in piedi per otto ore, con minacce di ulteriori torture se avesse denunciato l’incidente.v Già vittima di una campagna diffamatoria che la accusava di essere una traditrice e un’agente straniera, vi una campagna di diffamazione sessualizzata è stata lanciata poco dopo il suo arresto, quando un giornale statale l’ha accusata di avere una relazione con un collega. vii

Esraa è stata posta in detenzione preventiva – che dura 15 giorni – e il 13 ottobre 2019 ha iniziato uno sciopero della fame, cosa che ha fatto diverse volte durante la sua detenzione. Questa forma di carcerazione, a breve termine, può essere effettuata in Egitto per un massimo di due anni. La sua reclusione è stata rinnovata ogni 15 giorni, mese per mese. Nel maggio di quest’anno, la Procura della Sicurezza di Stato Suprema dell’Egitto ha avviato il caso “855/2020”, un’indagine su presunti crimini terroristici che si sta usando per detenere e mettere a tacere i difensori dei diritti umani. Il 31 agosto, Esraa è stata accusata di “essersi unita a un’organizzazione terroristica” mentre si trovava in carcere.viii

È uno dei 15 casi considerati nel “Report on Providing Safe Refuge to Journalists at Risk” del 2020, recentemente pubblicato.ix Non ci sono notizie recenti sulle sue condizioni. Il 20 novembre di quest’anno, ho ricevuto una serie di fotox e video da Abdallah Abu Rahma su Messenger. Stava manifestando pacificamente con degli attivisti locali a Kufer Malek, che si trova tra Ramallah e la Valle del Giordano in Cisgiordania, contro lo sfratto dei residenti palestinesi per costruire un nuovo insediamento israeliano su quella che, secondo il diritto internazionale, è terra palestinese.

Uno dei video che mi ha mandato, cattura un soldato che dice: “Digli che se non si muove, gli sparerai”, e poi “Sparagli!” Sparagli!” E così hanno fatto, a distanza ravvicinata, con una nuova generazione di proiettili “non letali” chiamati “proiettili di spugna”.

Abdallah Abu Rahma, secondo a destra.

Le ferite dal proiettile.

Ufficialmente in uso dal gennaio 2015, hanno una forma a capsula, una base in plastica dura, una punta arrotondata ricoperta di schiuma nera dura e sono lunghi circa sei centimetri e larghi tre centimetri. Negli ultimi cinque anni hanno causato gravi lesioni come danni cerebrali e perdita di occhi.xi Per fortuna, dopo una visita in ospedale, Abdallah è potuto tornare a casa.

Ma la sua battaglia contro l’occupazione illegale dei Territori palestinesi continua, così come i rischi fisici e giudiziari che corre ogni volta che difende una terra che è legalmente del popolo palestinese.

Non c’è bisogno, però, di recarsi in Medio Oriente per affrontare i rischi giudiziari. La mattina presto del 17 settembre 2020, Dana Lauriola è stata arrestata nella sua casa di Bussoleno e portata a Torino in custodia. È stata accusata di aggressione e d’interruzione aggravata di un servizio pubblico. Il 3 marzo 2012, Dana era una degli oltre 100 attivisti che protestavano pacificamente contro la costruzione del progetto TAV. Era un periodo particolarmente teso dopo che l’attivista Luca Abbà è quasi morto cadendo da un traliccio dopo essere stato inseguito dalla polizia.xii

Ai caselli autostradali di Avigliana, un gruppo di dieci attivisti ha permesso alle auto di passare senza pagare, mentre altri tenevano cartelli e sventolavano l’emblematica bandiera No TAV. Dana ha spiegato i motivi del blocco stradale alle auto di passaggio incoraggiandole a proseguire senza pagare, utilizzando un megafono. La protesta è durata circa 20 minuti.xiii

“Arma d’istruzione di massa comporta due anni di galeral”: su un muro a Torino.

Secondo la legge italiana, l’accusa più grave di aggressione ha una pena minima di 15 giorni. È prevista anche la condizionale se l’imputato non rappresenta un rischio per la società. In qualità di assistente sociale che aiuta i senzatetto a reinserirsi nella società, avrebbe potuto essere messa in libertà vigilata e continuare a lavorare. Invece, nonostante i 777,00 euro persi durante la protesta siano stati rimborsati alla società privata che gestisce l’autostrada, sta scontando due anni nel carcere “Le Valette” di Torino per il suo reato. I

l quotidiano torinese La Stampa ha riportato la decisione con le parole “una persona violenta” nel titolo.xiv Tra i motivi citati nella sentenza, ci sono i suoi ideali politici – da fervente attivista No TAV – e il suo luogo di residenza – troppo vicino al cantiere del progetto ferroviario.xv Amnesty International – Italia, ha condannato la decisione affermando: “Esprimere il proprio dissenso pacificamente non può essere punito con il carcere.

L’arresto di Dana è emblematico del clima di criminalizzazione del diritto alla libertà d’espressione e di manifestazione non violenta, garantiti dalla Costituzione [italiana] e da diversi meccanismi internazionali”.xvi Il 29 ottobre è stata respinta la richiesta di sospensione della decisione del tribunale. La sua riluttanza a pentirsi è stata citata come uno dei motivi.xvii Ci sono collegamenti importanti tra le storie di questi tre attivisti e ciò che questa pandemia ci ha mostrato: quanto velocemente la nostra vita può cambiare, quanto rapidamente certi diritti inalienabili possono essere sospesi, ma anche, quanto siamo tutti interconnessi.

Recentemente ho partecipato a un forum online, “Celebrating Our Diversity,” xviii con la Fondazione Anna Lindh tra gli organizzatori. Siamo stati più di 50 partecipanti – attivisti, assistenti sociali, accademici e artisti – in due mattinate. Naturalmente, la pandemia e i suoi effetti sono stati un argomento chiave insieme a come immaginavamo collettivamente l’era post-pandemica. Devo dire che è stato molto meglio di quanto mi aspettassi. Abbiamo avuto sessioni plenarie e sessioni di break-out in stanze virtuali e abbiamo scritto le nostre riflessioni su “jamboard” collettive. Il tempo è volato ed è stata certamente un’esperienza preziosa. È stata un’alternativa molto ben fatta in tempi difficili.

Non poteva però essere paragonata alle mie esperienze a IndignaCtion, al SabirFest o ad altri incontri a cui ho partecipato nel corso degli anni. Né poteva eguagliare le interazioni che ho condiviso con gli attivisti palestinesi e israeliani a Bilin o alle decine di manifestazioni a cui ho partecipato come parte del movimento No TAV in Val di Susa. Il contatto personale, il contatto visivo, la condivisione del caffè o del pasto, il tête-à- tête su un particolare argomento, tutte queste cose sono impossibili in una conferenza virtuale e la nostra essenza e la nostra passione non possono mai essere espresse allo stesso modo che di persona.

Abdallah non avrebbe mai potuto stringermi la mano ed è improbabile che si sarebbero potute fare amicizie durature. Possiamo pensare alla nostra espressione: “arrangiarsi”, che significa, in senso lato, inventare modi per tirare avanti in circostanze difficili. Questo è quello che stiamo facendo in questo momento su tanti livelli, andare avanti, fare del nostro meglio, trovare nuovi modi di fare le cose che funzionano in questo contesto pandemico.

Ma se parliamo di concetti come la cultura, la costruzione di reti e relazioni, non è sufficiente. La cultura deve essere vissuta e condivisa. Le relazioni richiedono esperienze tangibili insieme, così come la comprensione reciproca. Possiamo provare a metterci nei panni di qualcun altro usando la nostra compassione o empatia come guida, ma non è lo stesso che vivere fisicamente momenti collettivi. Lo stesso vale per la fiducia.

La fiducia si costruisce esperienza per esperienza. Va a sfumature. È il linguaggio del corpo e la scelta delle parole. È un tono di voce che si riflette nelle espressioni facciali. C’è un limite a quanto di questo possiamo leggere da un piccolo volto incornicciato a centinaia o migliaia di chilometri di distanza. La lontananza che attualmente dobbiamo accettare per necessità, deve essere solo temporanea. Certo, il valore di essere tecnologicamente connessi in questo momento storico ci ha permesso di “arrangiarci” come lavoratori e come studenti, come attivisti e come capi governo, ma non può essere una soluzione a lungo termine.

Questa separazione che stiamo vivendo non deve renderci incapaci di ritornare alle nostre precedenti esperienze di contatto umano o portarci a negarne il valore. Né deve permetterci di distrarci dalle lotte che si stanno combattendo in tutto il mondo per la giustizia, la democrazia e i diritti umani. Ecco perché Esraa, Abdallah e Dana mi preoccupano tanto. Durante e dopo questa pandemia, non dobbiamo permetterci di compiacerci della moltitudine di questioni che abbiamo recentemente, e così tragicamente, imparato che ci legano: più di quanto avremmo mai potuto immaginare.

(*) Lisa Ariemma è giornalista, ricercatrice, educatrice e attivista. Alcune selezioni della sua serie “Covid Tales from Italy” sono state pubblicate online e su una rivista canadese. Ha partecipato a conferenze, incontri e festival culturali in Europa, Nord America e Medio Oriente come attivista e ricercatrice indipendente ed è co-fondatrice dell’Associazione Maydan, che sta lavorando per una nozione di cittadinanza mediterranea. Divide il suo tempo tra Meana di Susa, Italia, e Toronto, Canada, ma si considera una cittadina del mondo.

i https://it.wikipedia.org/wiki/No_TAV e https://www.notav.info/, per esempio.
ii https://euroalter.com/it/two-shores-one-struggle-indignaction-forum/
iii http://www.sabirfest.it/images/documenti/SabirFest_2014-programma.pdf
iv https://www.youtube.com/watch?v=jM-wOQDhSU4
v http://www.maydan-association.org/news/esraa-kidnapped-and-tortured-esraa-sequestrata-e-torturata/
vi https://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/esraa-abdel-fattah-how-facebook-girl-who-started-egypt-s-revolution-became-hated-her-own-country-a6832686.html
vii https://www.frontlinedefenders.org/EN/STATEMENT-REPORT/WOMEN-HUMAN-RIGHTS-DEFENDERS-EGYPT-CONTINUE-SUFFER-JUDICIAL-HARASSMENT-REPRISALS 

viii https://womeninjournalism.org/cfwij-press-statements/egypt-new-charges-pressed-against-solafa-magdy-and-esraa-abdel-fattah-along-with-renewal-of-arbitrary-detention e https://www.amnesty.org/EN/DOCUMENTS/MDE12/3095/2020/EN/
ix https://www.ibanet.org/Safe-Refuge-report-launch-2020.aspx
x https://www.activestills.org/image/45895/
xi https://www.thenationalnews.com/world/israel-s-non-lethal-sponge-tipped-bullets-cause-serious-harm-to-palestinians-1.220453
xii https://www.youtube.com/watch?v=N7z82WeGPEM
xiii https://www.youtube.com/watch?v=eCyvLnXdYVI
xiv https://www.lastampa.it/torino/2020/09/18/news/due-anni-di-carcere-all-attivista-no-tav-persona-violenta-1.39318616
xv https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/09/18/dana-la-vendetta-del-tav/
xvi https://www.amnesty.it/arresto-di-dana-lauriola-esprimere-dissenso-pacificamente-non-puo-essere-punito-con-il-carcere/
xvii https://www.ilriformista.it/dana-lauriola-non-si-e-pentita-la-no-tav-deve-restare-in-carcere-171400/
xviii http://www.annalindhfinland.fi/en/online-event-celebrating-our-diversity-forum-2020/

 

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