di Davide Amerio.
Dall’inizio dell’era Covid, siamo sottoposti a un bombardamento mediatico proveniente da qualsiasi fonte in grado di sputare “informazioni”:
– dati tecnici, percentuali, sui contagi, ammalati, morti, guariti, ricoverati, terapie intensive, etc etc
– informazioni tecnico scientifiche contrastanti su potenzialità del virus, letalità del virus, rimedi, prevenzione, cura, vaccini, etc etc
– visioni apocalittiche sulla diffusione della pandemia a livello globale, con accento particolare nei luoghi di maggior diffusione
– teorie cospirazioniste, complottiste di ogni ordine e grado, sull’origine del virus, sulla strumentalizzazione politica, sulle finalità perseguite da organizzazioni più o meno occulte, etc etc
– dati di previsione economica disastrosa a livello globale, previsioni apocalittiche sui debiti sovrani, sulla disoccupazione, sui livelli di crescita delle economie
Fermate il mondo… voglio scendere: verrebbe da dire.
In questi mesi sono apparsi, in tutta evidenza, fenomeni socio-economici su cui merita porre attenzione:
– la quantità di “informazioni” che riceviamo non corrisponde a un livello di qualità adeguato per aiutare davvero a comprendere la realtà nella quale viviamo. La gara dei media a mettere in vetrina lo specialista (virologo) più esperto di tutti gli altri ha solamente creato confusione e insicurezza tra le persone. Il pubblico ha brutalmente scoperto che la scienza non ha tutte le risposte a portata di mano (come in genere viene fatto credere), e gli scienziati non vivono normalmente di un pensiero unico, ma di teorie contrapposte.
La scienza non ha gli stessi tempi di un palinsesto televisivo (tanto meno quelli di una oratoria demagogica populista): si formulano ipotesi, si eseguono ricerche empiriche, si validano i risultati, si formalizzano delle teorie, che magari saranno smentite domani da altre ricerche, e altre ipotesi. Tutto ciò richiede tempo, lavoro, dedizione, e non certo improvvisazione, o frenesia nel dare una risposta a tutti i costi.
Quando accaduto avrà certamente soddisfatto l’ego di qualche personaggio, improvvisamente messo sulla ribalta dalle televisioni e dai giornali, ma sicuramente ha peggiorato (ingiustamente) il senso di fiducia del cittadino nei confronti della ricerca, e mortificato il lavoro silenzioso di tanti altri ricercatori.
– l’aspetto politico, inteso come governo dell’emergenza, e come dibattito, è sprofondato in abissi oscuri quanto inquietanti. Se in casa nostra si è consumato un disastro, non è che nel resto del mondo le cose siano andate meglio. La sottovalutazione del fenomeno l’ha fatta da padrone, molti leader mondiali non si sono mostrati all’altezza del compito emergenziale.
Nell’ambito politico nostro, il “teatrino della politica” ha mostrato tutta la sua intrinseca debolezza ideologica e strutturale.
Da una parte un governo che si getta letteralmente nelle mani dei tecnici, senza avere chiaramente una prospettiva “politica” di indirizzo su come affrontare le conseguenze sociali ed economiche della pandemia. Il continuo balletto su Recovery Fund e Mes, è la misura della totale inconsistenza di un progetto di politica economica per il paese. Si palesano le conseguenze della trentennale cessione di sovranità alla dea Europa, di assenza di un pensiero ideologico, progettuale, materiale. E questa, dal canto suo, balbetta formulazioni politiche deboli, viziate da quella fede neoliberista che ha piegato, per decenni, la vita di milioni di persone alla logica dell’Austerità Espansiva.
Dall’altra parte una opposizione scomposta e strumentale, che ha sottovalutato il fenomeno pandemico, il cui unico scopo è palesemente la riconquista del consenso facile e del governo.
I richiami a quella coesione nazionale, che sarebbe necessaria di fronte alla situazione, rimangono lettera morta. Facile parlare di “grandi coalizioni” quando si teorizza seduti comodamente nella poltrona di uno studio televisivo. All’atto pratico, non essendo “tedeschi” (e nordici in genere), e non avendo quel senso della misura del bene nazionale, collettivo, le belle parole si infrangono contro le miserie particolaristiche di piccolo cabotaggio politico.
Abbiamo di fronte problemi di titanica grandezza, e continuiamo ad affrontarli con nani da giardino che si credono novelli Churchill (Roosvelt, Lincon, scegliete voi), e poi annegano in un mojito.
Il negazionismo è ridicolo, in questa vicenda. La preoccupazione però che l’uso della limitazione delle libertà individuali, per difenderci dal virus, sconfini in un eccesso, è quanto mai legittima. Non è certo la partigianeria dei pro-governo a prescindere che elimina il problema. Le scelte dei Dpcm sono spesso discutibili quando limitano alcune attività, per esempio, quelle commerciali: perché una panetteria può rimanere aperta facendo entrare due persone alla volta, e un negozio che vende merci non commestibili non può? Perché bloccare i mercati all’aperto?
Ma il problema principale trapela dai dati ufficiali forniti dal sistema sanitario: il terrore della saturazione dei posti letto in terapia intensiva.
In questa ipotesi verrebbe attivato quel protocollo tipico dei disastri dovuti a fenomeni naturali: non potendo salvare tutti, il personale sanitario decide di imperio quali sono le persone che possono essere salvate (perché hanno più probabilità di sopravvivenza).
Possiamo, giustamente, puntare il dito contro quel sistema di regole europee che ci ha imposto in questi anni la riduzione dei posti letto, la chiusura di ospedali, la riduzione del personale sanitario (in nome dell’austerità). E faremo bene a ricordarcelo in seguito, Ma la situazione attuale è questa: rischiamo il terno al lotto sulle nostre vite, e su quelle dei nostri cari.
Non meno gravi sono i risvolti sul piano economico. Le continue e progressive chiusure delle attività, metteranno sul lastrico un numero impressionante di persone, produrranno ulteriore disoccupazione, e dis-eguaglianza sociale.
In Europa pare qualcuno ipotizzi l’idea di un reddito universale. Di sicuro se non verrà immessa liquidità nel sistema, mettendo effettivamente soldi nelle tasche delle persone, l’economia agonizzerà e le conseguenze sono inimmaginabili e disastrose.
La pandemia mette in luce come il sistema neoliberista globalizzato sia in realtà un gigante dai piedi d’argilla. Un sistema complesso che avvantaggia pochi, a discapito dei molti. Gioca sulla costruzione continua e progressiva di debiti, di denaro virtuale, di scambi di merci in buona parte inutili. Basta uno “starnuto” (è il caso di dirlo), e il sistema vacilla. Ovviamente c’è chi si avvantaggia sempre: un sistema del genere è per definizione a-morale, basato esclusivamente sull’utilità marginale che genera profitto, quindi anche la tragedia diventa un bussiness.
Se tutto va bene (salviamo la pelle), siamo comunque rovinati economicamente. La gravità è accentuata dall’assenza di progetti politici alternativi (guardando all’Italia). Tutto il dibattito è ancora compresso nella contrapposizione tra la richiesta di diritti, e la negazione degli stessi. Non si intravedono visioni, progetti, utopie sul futuro. Non c’è immaginazione su processi economici alternativi, che rimangono appannaggio di qualche studioso, ma non sembrano scalfire la politica.
Non esiste un senso civico nazionale, di comunità, di appartenenza. Si intravedono, nella paura del futuro, vaghe richieste di ritorni al passato, sempre ipotizzando che quel che c’era prima… fosse comunque migliore.
Ogni giorno continua lo stillicidio dei casi di malversazione, di corruzione, di un paese marcio privo di una condizione di moralità minima di sussistenza. E sembriamo incapaci di comprenderne a fondo la drammaticità e il danno che questo comporta nel sistema sociale.
Anche in questo il neoliberismo ha fallito o, forse, è il suo maggior successo: aver condotto le persone a pensare marginalmente solo al proprio particolare interesse, negando il senso della comunità, della solidarietà, della responsabilità, della compassione per il genere umano nella sua globalità.
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