Uomini Persone Individui i diversi significati dell’identità

Uomo, donna, individuo, persona, ma qual'è la nostra vera identità? Costretti dalle regole sociali e dell'economia, chi siamo veramente, come possiamo liberarci?

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di Francesco Veronese.

La parola “uomo”, se intesa come essere umano in generale e non come genere sessuale maschile, pone l’accento sulla sua capacità razionale che lo differenzia dagli altri animali. Questa parola lo qualifica come pensante, cosciente e responsabile delle proprie azioni, in grado di servirsi di ciò che lo circonda, per raggiungere i suoi scopi.

La parola “individuo”, a dispetto della sua origine, mette in risalto la singola entità di uomo, dal punto di vista soggettivo, in confronto con il resto della collettività, da cui però non può prescindere: lo dice la stessa parola che significa “indiviso”.

La parola “persona” invece, deriva dal greco antico “πρόσωπον” (traslitterato in “prosopon”) che significa: faccia o maschera teatrale degli attori. Era usata per caratterizzare meglio i personaggi, affinché il pubblico capisse subito il tipo di soggetto rappresentato dall’attore.

Pertanto dicendo che siamo uomini, individui e persone, ci presentiamo esseri umani nei tre significati diversi. È come se dicessimo che siamo muniti di ragione, abbiamo una nostra soggettività che però rimane in relazione costante con gli altri, e usiamo comportamenti ed espressioni non spontanee, se riteniamo che le circostanze ce lo richiedano. Non c’è dubbio: più ci si addentra nella lingua italiana e più la si adora!

Spesso ci mettiamo la maschera perché decidiamo, in un certo frangente, di sembrare diversi da quello che siamo. I motivi possono essere molteplici; potrebbe accadere che, dovendo subire il giudizio di qualcuno che ci interessa in modo particolare, e sentendoci in quel momento deboli e carenti di autostima, pensiamo di nascondere la nostra insicurezza. C’è il rischio però che sia percepita la perdita di spontaneità che ne può derivare, sortendo l’effetto esattamente contrario a quello sperato. Se conformiamo il nostro comportamento per contrastare quello che temiamo che gli altri possano pensare su di noi, deprimiamo la nostra personalità, diventiamo insicuri e perdiamo il nostro stile individuale. La  maschera, che ci siamo messi, diventa la dimostrazione evidente della nostra mancanza di autostima.

Non manca mai il parere degli altri su di noi e possiamo star sicuri che c’è gente che non perde l’occasione per darlo; si esprime su di noi, su quello che facciamo nella nostra vita, su quello che diciamo e su come ci comportiamo, anche se nessuno glielo chiede. Spesso queste opinioni sono negative e possono avere lo scopo di metterci in difficoltà o di sminuire le nostre azioni, ed è quello che normalmente temiamo. In un mondo dominato dalla competizione, tutto questo è all’ordine del giorno.

La maschera che decidiamo di metterci è sostanzialmente una barriera di difesa che dovrebbe metterci al riparo da questi giudizi, soprattutto nel momento in cui temiamo che, se risultassero negativi, potrebbero crearci delle conseguenze sfavorevoli. Riuscire a tenerne conto, continuando a essere sempre noi stessi, richiede una forza d’animo e una chiara fiducia nella proprie capacità.

Ciò che gli altri pensano di noi è inevitabilmente trasformato dalla loro fenomenologia, cioè da come appare la realtà nella loro coscienza, indipendentemente dall’effettività fisica reale. Non può oggettivamente corrispondere in tutto per tutto alla nostra.

Ecco quindi che ciò che pensano gli altri di noi non può essere la nostra realtà vera perché non conoscono tutto della nostra storia e soprattutto non hanno nozioni, se non in minima parte, del buono e del cattivo che c’è in noi. È impossibile essere matematicamente sicuri dei sentimenti e dei pensieri degli altri.

Per questi motivi ciò che gli altri dicono di noi è sempre generato dalla loro personale realtà, frutto della loro mente, già vittima del loro mondo interiore comunque non oggettivo e, per questo, diverso dal nostro. La realtà vera si conquista solo molto lentamente con la scienza e, del nostro mondo e di noi stessi, si arriva a sapere ben poco.

Pertanto un grosso errore sarebbe vivere secondo quello che riteniamo pensino gli altri di noi, dovremmo costruirci una maschera permanente che ci allontana dalla nostra personalità e ci aiuta a demolire la nostra autostima. Trasformarci in quello che non siamo, per compiacere gli altri, significa percorrere la via dell’infelicità e dell’alienazione.

È inutile illuderci di riuscire a farci voler bene da tutti, chi non si trova materialmente nei nostri panni, non può capire fino in fondo quello che proviamo e perché lo facciamo, quindi è naturale che ci sarà sempre qualcuno che ci critica. Tanto vale realizzare con determinazione le nostre convinzioni, in perfetta sintonia con le nostre emozioni e con i nostri sentimenti. Non è affar nostro quello che gli altri pensano di noi, l’unica cosa che conta è quello che noi pensiamo di noi stessi.

Sin dalla nascita siamo inseriti in una società che ci impone regole e giudizi. Pensiamo a tutti gli anni che trascorriamo a scuola, incominciando sin dalla tenera età. Proprio nella scuola impariamo subito a dare molta importanza al giudizio che l’insegnante dà su di noi, e poi nel lavoro i superiori determinano la carriera del dipendente con i loro giudizi. La ricerca di approvazione nasce dal rapporto col genitore e prosegue nella scuola e nel lavoro per tutta la vita. La scelta più comoda sarebbe di un rispettoso conformismo, ma sicuramente non è la migliore.

Il conformismo crea una serie tutta uguale di persone banali e scontate, prive di senso critico e di creatività. Questa è la tendenza di questa civiltà dei consumi che punta a trasformare le persone in meri consumatori acritici, fedeli ai dettami della pubblicità e dei contenuti del pensiero unico, propinati attraverso i media.

L’insicurezza è alla base di tutto. Chi vorrebbe che anche gli altri si conformassero alle sue idee, spesso è insicuro di sé e cerca conferme nella condivisione, oppure sta puntando a imporre un regime totalitario, ai soli fini di potere.

I media propagano idee, comportamenti, desideri, giudizi che sono accolti tanto più facilmente quanto maggiore è l’insicurezza dell’ascoltatore. Tale insicurezza è inoltre aggravata quando la si accompagna a un senso di paura.

Anche la paura ci viene fornita continuamente dai media. Tutti i TG, tutti i giornali raccontano di tizio che ha ucciso caio, dell’amministratore o del politico che ha rubato, di persone e di imprenditori che evadono le tasse, senza contare l’elenco delle calamità naturali come terremoti, inondazioni, tsunami e quant’altro che regolarmente compare non solo in TV ma anche nei giornali e per radio. Sembra che lo scopo dei media sia quello di creare paura. È il caso di chiedersi perché sono trascurate le cose belle e positive, che sicuramente ci sono, ma pare che non contino nulla.

Così si ha l’impressione che questo clima mediatico sembri avere l’unico scopo di creare insicurezza nelle persone, inibendo l’iniziativa, mortificando la fantasia, distruggendo l’individualità, demolendo l’autostima e la fiducia in se stessi. Le persone diventano più docili e più malleabili, perché perdono la capacità di decidere e di affermare le loro convinzioni: il controllo politico è più facile.

La mancanza di fiducia in se stessi può portare a imitare qualcuno che si stima e a prenderlo come modello di riferimento, magari copiandone i toni di voce, le frasi, i modi di fare, la foggia del vestire, le idee. Perciò è pratica diffusa utilizzare i media per creare modelli artificiali di comodo, miti di eroi creati ad arte, che poi non esistono nella realtà, per indurre le persone a seguirli su percorsi opportunamente predisposti.

In certi casi, la paura di essere giudicati, porta a non agire, per timore di sbagliare. Un errore costa dolore e per questo si può essere indotti a non ammetterlo, magari tentando di ingannare anche noi stessi. È più comodo e più sicuro non prendere iniziative, lasciare che le cose vadano avanti da sole e cogliere al volo quello che interessa, senza proporsi obiettivi specifici. Così non ci si assume la responsabilità dei propri errori ma si sfruttano le opportunità che passano davanti. Non manca mai chi, mancandogli il coraggio di guardare in faccia le persone, per dire quello che pensa di loro, a tu per tu si congratula con chi ha appena diffamato dietro le spalle. Non c’è limite a quanto si può scendere in basso, quando si è vittime dell’insicurezza.

Il nostro mondo interiore è un’intimità di cui noi stessi abbiamo paura e, per primi, impariamo a tenerlo nascosto. La scuola e le esperienze di vita insegnano a contenerlo dentro un filtro che la nostra razionalità ha il compito di gestire, allargando e stringendo le maglie, a seconda delle circostanze e della convenienza, bloccando anche tutto ciò che può apparire sconveniente.

La repressione della libertà incomincia nella nostra vita interiore e ci si abitua ai limiti imposti dall’esterno, fino ad accettarli come scontati, in modo acritico, anche quando arriva alle forme più esasperate e totalitarie; in questa aberrazione di consapevolezza si rischia di non riconoscere la tirannia camuffata da democrazia, per opera di una ben studiata retorica.

Questo insieme di restrizioni costruisce la nostra personalità e contiene inevitabilmente paure anche latenti e represse; voglie impossibili o sconvenienti da soddisfare o semplicemente da ammettere; sentimenti mai manifestati, repressi per vergogna o che non si avrebbe mai il coraggio di ammettere; sofferenze mai cicatrizzate che non si riesce a rimuovere. Tutto questo è vittima di un “super io” tremendo, spietato che ci giudica e ci castiga con la sofferenza. Anch’esso è spesso addomesticato dai media e dall’ambiente, con fini ben precisi.

Eppure ci sono persone che riescono a costruirsi maschere perfette e imparano a recitare così bene la loro parte, da fare concorrenza ai più bravi attori del teatro. È una dote che non tutti hanno e richiede un’abilità eccezionale. Non è facile controllare la muscolatura del viso mentre si raccontano cose false, c’è una parte inconscia nel nostro cervello che è sempre pronta a saltar fuori nel momento più inopportuno. Ci vuole una scuola personale fatta di continui esercizi, dettati da una abitudine convinta e costante. Il controllo dei muscoli involontari del viso non è semplice, i risultati però sono ambiti perché permettono di mentire con disinvoltura. Questa è ritenuta una dote essenziale nelle persone di successo.

C’è anche chi considera la capacità di mentire seraficamente, senza il minimo cedimento, come un segno di maturità, in contrapposizione con l’immaturità di chi è fragile alla trasparenza delle proprie emozioni. Sottolinearle con espressioni del viso eloquenti o gestualità significative, è spesso considerato indice di debolezza, di fragilità emotiva e si espone alla critica impietosa di chi associa la schiettezza delle emozioni solo agli atteggiamenti infantili. Dimostrando le proprie emozioni con espressioni del viso, non tenute sotto controllo, si rischia di essere svalutati nel giudizio. Perciò ci mettiamo la maschera anche perché spesso ci è richiesta, fa parte del bluff della quotidianità e diventa, con l’abitudine, dominante in tutte le nostre azioni.

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Associazione Articolo Tre

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