Neutralità necessaria per avere reale sovranità

Neutralità significa non schierarsi geopoliticamente né a Occidente né a Oriente ma mirare alla collaborazione tra stati nazionali pienamente sovrani

Tempo di lettura: 16 minutes
di Francesco Cappello

Neutralità significa non schierarsi geopoliticamente né a Occidente né a Oriente ma mirare alla collaborazione tra stati nazionali pienamente sovrani, contribuendo alla inaugurazione di una riorganizzazione mondiale, in grado di declinare il multilateralismo emergente nel segno della costruzione delle condizioni di una nuova era di solidarietà e pace tra i popoli.
Significa che non siamo costretti a dividerci tra Soros-Bill Gates, Putin-Xi Jinping o Bannon-Trump, per quanto Trump non sia necessariamente identificabile con il suo ex consigliere Bannon o con il suo segretario di stato, Mike Pompeo nonché ex direttore della Cia.

La formula che dobbiamo contribuire a far prevalere è necessariamente quella di relazioni win-win tra stati pienamente autonomi e autodeterminati.

È essenziale, perciò, creare le condizioni che ci permettano, finalmente liberati dai dettami Usa/Nato, di esprimere una nostra autonoma politica estera, per tornare a esercitare un ruolo positivo a cominciare dai paesi del “mediterraneo allargato”.
Significa non sottostare più a quelle imposizioni che ci hanno costretto a tragica complicità rispetto a guerre e sanzioni inflitte ai nostri vicini di casa.

Il ritorno agli stati nazionali sembrerebbe la via obbligata segnata dalla crisi sanitaria che ha inferto un colpo mortale alla globalizzazione come l’abbiamo conosciuta.
È auspicabile un ritorno alla collaborazione tra popoli organizzati che si autodeterminino in piena autonomia. Non sappiamo che farcene di un sovranismo egoista e competitivo che ricerca la sua supremazia sugli altri paesi, che pensa solo a se stesso (America first a ben guardare è la stessa logica con cui si chiede l’autonomia regionale differenziata) anche a discapito degli altri paesi. Abbiamo bisogno di una sostanziale collaborazione nel rispetto della specificità culturale di cui ogni paese è portatore. Necessitiamo di strutture di relazione economica che implementano la solidarietà tra gli Stati ove la fiducia organizzata in modo strutturale risulti quale proprietà emergente del sistema di relazioni economiche in modo da incoraggiare e “obbligare“ a rapporti collaborativi tra paesi indipendenti e tra loro solidali. In primo piano i vantaggi reciproci piuttosto che la volontà di vincere sugli altri. In realtà è solo collaborando attivamente che è possibile rispettare pienamente gli interessi nazionali.

Manlio Dinucci, dalle pagine de il Manifesto ( 9 giugno 2020) in “Niente sovranità economica senza quella politica” dopo averci invitato a rifettere (14 aprile 2020) sulle possibili implicazioni del piano di «assistenza» all’Italia varato il 10 aprile dal presidente Trump, una sorta di nuovo piano Marshall, descritto dall’ambasciatore Usa in Italia, Lewis Eisenberg, come «il più grande aiuto finanziario che gli Stati Uniti abbiano mai dato a un paese dell’Europa occidentale dal 1948, dai tempi del Piano Marshall», avverte:

Le conseguenze sono evidenti. Mentre ad esempio sarebbe nostro interesse nazionale togliere le sanzioni a Mosca, così da rilanciare l’export italiano in Russia per ridare ossigeno soprattutto alle piccole e medie imprese, tale scelta è resa impossibile dalla nostra dipendenza dalle scelte di Washington e di Bruxelles. Sono allo stesso tempo in pericolo gli accordi dell’Italia con la Cina nel quadro della Nuova Via della Seta, non graditi a Washington. La mancanza di reale sovranità politica impedisce queste e altre scelte economiche di vitale importanza per uscire dalla crisi.

C’è un appello congiunto, rimasto inascoltato di 8 paesi per “la revoca totale e immediata di tutte le misure di pressione economica illegale, coercitiva e arbitraria” rese, se possibile, ancor più insopportabili nella contingenza della doppia crisi sanitaria/economica in seguito all’allarme per la salute pubblica provocata dal covid-19. L’appello presentato dai rappresentanti permanenti presso le Nazioni Unite di Cina, Russia, Cuba, Venezuela, Nicaragua, RPD di Corea, Siria e Iran al Segretario Generale dell’ONU António Guterres chiede la revoca delle misure unilaterali e coercitive a loro imposte dallo schieramento imperialista (USA/UE/NATO)
Nella lettera si afferma che tali misure, che colpiscono un terzo degli abitanti dell’intero pianeta, “sono illegali e violano palesemente il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite ”.
Le sanzioni calpestano i diritti umani fondamentali alla vita dei popoli ad esse soggette. Esse ostacolono irrimediabilmente quella cooperazione e quella solidarietà che dovrebbero piuttosto prevalere tra le nazioni in coerenza con i principi consolidati delle Nazioni Unite.

Davvero pensiamo che, per il bene di tutti noi, sia importante tenere ancora “La Nato al timone della politica estera italiana” ?
Il cortocircuito USA/Cina è in corso perché gli investimenti cinesi presso i paesi dell’Alleanza sono visti come pericolosi così che la Cina è finita «in cima all’agenda della Nato». Essa è ormai presentata come militarmente minacciosa: «investe pesantemente in nuovi sistemi missilistici che possono raggiungere tutti i paesi Nato».
“In base a tale premessa i ministri della difesa hanno aggiornato le linee guida per la «resilienza nazionale», miranti a impedire che l’energia, i trasporti e le telecomunicazioni, in particolare il 5G, finiscano sotto «proprietà e controllo stranieri» (leggi «cinesi»)”.
Neutralità e sovranità vanno declinati insieme perché cresca la consapevolezza delle nostre enormi potenzialità che aspettano solo di essere messe in pratica. Non abbiamo bisogno di prestiti esteri avendo enormi risorse endogene per affrontare la situazione in cui ci troviamo (vedi il piano di salvezza nazionale) né necessitiamo continuare a cedere al peggiore offerente i nostri monopoli naturali e che anzi possiamo/dobbiamo finalmente invertire la rotta e procedere decisi alla loro nazionalizzazione/risocializzazione come nel caso delle autostrade, di gran parte del sistema bancario o della telefonia che potrebbero e dovrebbero tornare ad essere integralmente pubbliche (1).
Chiediamoci come mai la Germania, in tandem con la Cina, si sono mostrati preoccupati per la possibile revoca delle concessioni ai Benetton ma anche per l’eventuale nazionalizzazione che ha suscitato una tale preoccupazione da portare alla convocazione del console italiano a Pechino. Si ricordi che il fondo governativo cinese Silk Road Fund detiene una quota attorno al 5% del capitale di Autostrade per l’Italia; l’ambasciatore italiano a Pechino, Luca Ferrari, ha, perciò, dovuto fornire spiegazioni in merito alle decisioni del nostro governo sul futuro di Aspi…

Secondo Michel Chossudovsky, direttore del prestigioso Global Research, l’Italia non è mai stata liberata! Parole, queste, pronunciate al Convegno Internazionale, tenutosi a Firenze, sul bilancio storico della NATO, nel suo settantennale, il 7 aprile del 2019:

« […] la Nato non è un’alleanza! È uno strumento di occupazione militare. È una entità responsabile di crimini di guerra. Vorrei innanzitutto affrontare alcune dimensioni storiche. È importante tornare indietro al 1945. L’Italia non è mai stata liberataSi è trattato di una occupazione. Le basi militari che sono state installate nell’immediato dopoguerra furono poi allargate con la creazione della Nato. La Nato è stata costituita nel ’49, Camp Darby, a Livorno, nel ’51. La costituzione della Nato ha agevolato la militarizzazione dello spazio europeo costruendo basi non soltanto nel territorio dell’ex asse Italia-Germania ma in tutta l’Europa. Lo scopo ultimo era quello di spezzare il rapporto tra Est ed Ovest, i rapporti sociali, economici, culturali tra Europa orientale ed occidentale, rapporti che esistevano da sempre: si voleva presentare l’Unione Sovietica come minaccia alla sicurezza europea. Quando dico che la Nato non è un’alleanza intendo dire che le strutture di comando sono controllate dagli SU, è un’entità che dipende dal Pentagono.»

Settanta anni di pace! È stato l’esultante slogan diffuso dalla NATO, a sintesi e bilancio della ricorrenza del settantennale della sua fondazione. Da 3 a 400000 vittime di guerra all’anno, per settanta anni, il numero reale di uccisi causato dall’accoppiata USA-NATO; una finta pace fatta di guerre reali, colpi di stato e operazioni sovversive di varia natura, effettuate su scala globale, dal ’45 ad oggi. Venti – trenta milioni di uccisi, il bilancio complessivo, da moltiplicare per 10, se nel conto si volessero includere i feriti, evitando, tuttavia, di far menzione delle centinaia di milioni di vittime provocate dagli effetti indiretti delle guerre: carestie, epidemie, migrazioni forzate, schiavismo e sfruttamento, danni ambientali, sottrazione di risorse ai bisogni vitali per coprire le spese militari. Il terribile bilancio risulta dal resoconto di una circostanziata ricerca dello storico James A. Lucas apparsa recentemente su Global Research.

Ferdinando Imposimato, Presidente Onorario della Suprema Corte di Cassazione, al «Convegno internazionale contro la Guerra, per un’Italia neutrale, per un’Europa indipendente» (Roma, 26 ottobre 2015), organizzato dal Comitato No Guerra No Nato dichiara tra l’altro:


” (…) nel corso delle indagini sulle stragi (stragi contro lo Stato Costituzionale nda) che sono state commesse in Italia, dalla strage di piazza Fontana, alla strage dell’Italicus, alla strage di piazza della Loggia, alla strage di Bologna, e alle stragi di Capaci e di via D’Amelio dove sono stati uccisi, massacrati, i miei colleghi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli uomini della scorta si è accertato che l’esplosivo utilizzato veniva dalle basi NATO. In Italia esistono sette principali basi NATO. Sono sette logge massoniche, questo l’ho scritto in un libro che si chiama La Repubblica delle stragi impunite, e nessuna di queste affermazioni è stata mai smentita. In alcune di queste basi si riunivano terroristi neri, esponenti della Nato, ufficiali della Nato, mafiosi, uomini politici italiani e massoni alla vigilia di attentati. Questo è stato riferito da testimoni diretti e questo accade dai primi anni 60 ininterrottamente (va inclusa la strage di portella della ginestra del 47 nda); uomini della Nato, erano in contatto con terroristi neri sicché io sono convinto che la Nato ha avuto un ruolo negativo nella dinamica democratica di questo Paese, ma non solo di questo Paese, anche di altri paesi dell’Europa. Queste esercitazioni, queste iniziative della Nato, mettono in pericolo la pace ed espongono prima di tutto l’Italia al pericolo di rappresaglie da parte di paesi che ovviamente ritengono di doversi difendere dall’Italia. Per molti anni ho creduto anch’io in buona fede che la Nato fosse un’organizzazione difensiva della pace e della sicurezza; non era così, mi sono sbagliato. Il problema è che la disinformazione, il silenzio della stampa impedisce a gran parte della pubblica opinione di conoscere queste tremende verità… “

All’Italia del secondo dopo guerra non è stata perdonata la sua volontà di forzare i vincoli imposti dal trattato di pace del ’47. La classe dirigente di allora è stata fortemente ostacolata nell’esercizio di una politica autonoma e sovrana. Ciò si è reso evidente in quell’area di naturale pertinenza dell’Italia: i paesi del mediterraneo, del nord Africa e del vicino Oriente con i quali il nostro Paese aveva intrecciato relazioni di buon vicinato che gli permisero la ricerca autonoma di fonti di approvvigionamento, nel rispetto dei paesi produttori, in un rapporto che agevolava il reciproco sviluppo. Come è noto a Enrico Mattei non fu perdonata la sua capacità di realizzare accordi di partenariato commerciale in territori che erano stati di esclusiva competenza inglese, francese o americana, essendo stato in grado di proporre condizioni molto più favorevoli ai produttori (il 75% dei proventi delle estrazioni). Né fu perdonata ad Aldo Moro, definito l’amico degli arabi, la sua autonoma politica estera in quegli stessi paesi, come denunciano documentatamente Cereghino e Fasanella nel loro Colonia Italia (Chiarelettere, 2015). Oltretutto, nell’Italia di quegli anni, cresceva un fortissimo partito comunista che aveva trovato un interlocutore forte in quella parte più sana della democrazia cristiana rappresentata da Moro e dalla sua corrente.
Interpreti integrali della Carta Costituzionale, frutto della lotta sociale di Resistenza italiana al nazifascismo, cui intendevano dare piena attuazione. Andavano fermati.
Ci hanno pensato organizzazioni paramilitari come Gladio, promosse e gestite dalla NATO (l’addestramento dei gruppi neofascisti avveniva nella base NATO di Livorno – Camp Darby), apparentemente per contrastare quell’ipotetico pericolo di invasione da parte dell’URSS, temuto negli anni della guerra fredda. Più realisticamente, Gladio operò quale esercito clandestino per la sovversione interna col compito di intervenire, ogni volta che il Paese minacciasse di muoversi troppo a sinistra, per rimetterlo su più giusti binari. Braccio armato di quella più generale offensiva culturale contro le politiche di welfare, ritenute foriere di crisi economiche, a favore di privatizzazioni generalizzate e della concentrazione della spesa pubblica unicamente su quella militare. Per tali obiettivi non hanno avuto remore ad utilizzare le organizzazioni criminali mafiose (la mafia è tuttora protetta dall’art. 16 del trattato di pace del 47- vd op. di Cereghino e Fasanella) e i servizi di intelligence che hanno usato tra i tanti, quale strumento privilegiato, lo stragismo e il relativo terrorismo rosso e nero i quali hanno dilaniato il nostro Paese da Portella della Ginestra in poi (si veda Coup D’Etat in via Fani – La Nato contro Moro e Iozzino di C. D’Adamo e J. Hepburn, 2018).

Il successo delle organizzazioni statali sovrane è evidente anche dalla semplice constatazione della crescita del loro numero che dalla fine della seconda guerra mondiale passano da 75 agli attuali 196.
La Guerra dei Trent’anni dal 1618 al 1648 aveva generato una mutazione della geopolitica europea, con il regresso dei grandi imperi e la comparsa degli stati moderni; il principio del rispetto della sovranità degli Stati sarà uno dei principi essenziali dell’ordine di Vestfalia. Con esso si affermerà il principio della politica moderna: la ragion di stato; il principio di non ingerenza sarà per secoli l’unica legge sacra della politica internazionale rimessa in discussione dall’imperialismo coloniale extraeuropeo che non tiene conto della sovranità dei paesi colonizzati, che non vengono considerati dagli Europei come stati veri e propri. Lo Stato, per la nostra Costituzione è lo Stato Comunità, la Repubblica, in definitiva lo Stato è il popolo sovrano, in cui la sicurezza, di cui gode il singolo cittadino, è riposta nella appartenenza al tutto della Comunità. Oggi gli Stati nazionali che hanno ceduto o sono stati privati di gran parte della loro sovranità, risultano più vulnerabili alle proposte e alle manipolazioni che i grandi gruppi finanziari (oligarchia creditizia finanziaria) e industriali sovra-nazionali (Corporations) avanzano a loro vantaggio. Dalla democrazia sociale basata sul principio lavoristico costituzionale si è passati a una pratica di democrazia liberale fondata sull’ordine sovranazionale dei trattati e dei mercati.

Il processo di costruzione europea, condotto a spese della sovranità degli Stati nazionali, insieme alle politiche di rigore sui conti pubblici e di austerity che provocano la distruzione progressiva dello stato sociale, coniugato ai processi di globalizzazione, hanno ridato vigore ai peggiori movimenti nazionalistici. Gran parte dell’attività parlamentare ridotta a ratificare direttive dell’Unione. Europeizzazione e globalizzazione, realizzate nel segno dell’ideologia neoliberista, hanno generato un habitat ideale, un humus, nel quale riemerge rigoglioso tutto il sacrario dell’ideologia neofascista, riportato alla luce dalle nuove destre europee

I totalitarismi non sono figli del nazionalismo; sono figli dell’imperialismo colonialista tipico degli Stati neoliberisti con il gold standard.
Con una moneta unica gli stati dell’unione non potranno avere politiche monetarie indipendenti. Come nel caso del gold standard, l’autonomia delle banche centrali nazionali sarà molto limitata, con l’aggravante ulteriore della eliminazione delle normali fluttuazioni dei cambi tra paesi.
L’assetto istituzionale che aveva proposto J. M. Keynes a Bretton Woods nasceva dalla convinzione, fondata sulla esperienza della crisi del ’29, che se si blocca il cambio e si lasciano liberi i capitali e le merci di circolare oltre i confini nazionali, la sovranità degli Stati diventa insostenibile. Come è noto la proposta di Keynes non fu accolta.
La propaganda neoliberista promuove la mistificazione del nazionalismo quale causa delle guerre occultando la verità storica che le addebita piuttosto agli imperialismi. L’imperialismo francese di Napoleone che si difende dagli imperi austro-ungarico e britannico e quello di Hitler negano agli stati vicini, e non solo, la loro dignità nazionale, violando militarmente la loro sovranità secondo la logica dell’espansionismo imperialista che estende la guerra su scala globale.

L’Italia è, di fatto, una enorme base USA/NATO che si protende nel mediterraneo. Impegnati in 33 missioni in 22 paesi. Siamo stati, più che alleati, complici delle aggressioni militari, alla federazione Jugoslava, all’Iraq, alla Libia, alla Siria, ecc. (nessuno di questi paesi ci aveva attaccato militarmente) ciascuna preceduta dalla demonizzazione simbolica del dittatore, l’Hitler di turno, che di volta in volta doveva essere abbattuto (Milosevic, Saddam Hussein, Gheddafi, Assad). In Europa “la difesa“ non è più risultato della decisione politica. La politica ha abdicato e rimosso il suo ruolo, lasciando ogni decisione su questo tema nelle mani dei tecnici della “difesa“ e, cioè, integralmente nelle mani della NATO che, essendo a comando USA, decide e dispone secondo le proprie criminali agende sul territorio europeo. Il nostro territorio è occupato per esteso da servitù militari: sono complessivamente 114 le basi USA-NATO, tra navali, aeree e di terra. In Sardegna, i poligoni di tiro che minano la salute dei cittadini e gli equilibri degli ecosistemi locali. Il MUOS in Sicilia. Tutti i nostri porti e aeroporti a disposizione delle forze aeree e navali statunitensi. Un paese non nucleare che ospita 70 bombe nucleari B61 (Aviano e Ghedi) in via di sostituzione con la più moderna B61-12, prima bomba nucleare a guida di precisone, dotata di capacità penetrante, per esplodere sottoterra, così da distruggere i bunker dei centri di comando nemici. Un’arma nucleare, con finalità strategica, trasportabile dai caccia F-35 che contribuiamo a produrre. Violiamo, quindi, il Trattato di Non-Proliferazione delle armi nucleari che pure abbiamo ratificato.

“Qualunque cosa si faccia per abbassare la spesa pubblica è ben fatta eccetto che per alcune spese molto selezionate come quelle per la difesa militare di cui abbiamo reale necessità”

A fare questa affermazione è stato Milton Friedman, definito “l’eroe della libertà” consigliere delle politiche economiche del dittatore Pinochet e ispiratore delle attuali politiche economiche iperliberiste della Ue.

Le spese militari italiane, mai prese di mira da alcun programma di austerity che non si fa scrupolo di aggredire quella parte della spesa pubblica a supporto del welfare, ammontano a più di 78 milioni di euro al giorno da estendere almeno a 100, a soddisfazione della richiesta NATO che giudica insufficiente la spesa degli alleati europei.
Siamo in democrazia? Ci hanno chiesto se siamo d’accordo? I parlamentari che riconfermano, senza battere ciglio, di anno in anno, le missioni all’estero, vanno individuati e non più votati. L’Italia ripudia la guerra. La guerra è anticostituzionale.

La motivazione principale, il faro, guida di padri e madri costituenti, che la guerra l’hanno conosciuta da vicino, è stata la volontà di salvarci dal coinvolgimento in altri conflitti mondiali. La nostra Carta, varata nel 48, è la Costituzione di un Paese che da allora in avanti non si sarebbe più schierato, manifestando la volontà di mantenersi in posizione neutrale rispetto a futuri eventuali conflitti; un Paese, un popolo, che sentiva di ripudiare profondamente la guerra come mezzo di offesa o di risoluzione dei conflitti, che avrebbe accettato di aderire ad organizzazioni sovranazionali solo se caratterizzate da un ordinamento atto ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni, in condizioni di parità con gli altri Stati.
La NATO, sorta a scopi che dovevano essere esclusivamente difensivi, è sempre stata ad esclusivo ed indiscusso comando USA. È del ‘49 la adesione dell’Italia come Paese fondatore. Cinquanta anni dopo parteciperemo, ancora una volta come fondatori, alla istituzione dell’Unione Europea, anch’essa sorta con finalità di pace.

Quella istituzione sovranazionale oggi chiamata Unione Europea (21 su 27 paesi della Ue aderiscono alla NATO), anche quello della prima guerra NATO, post guerra fredda e nel cuore dell’Europa, che ha disarticolato la Federazione Iugoslava e massacrato la popolazione civile. Per tale guerra è stato fondamentale il ruolo svolto dalle basi Usa/Nato. Dall’Italia (governo D’Alema) decollarono la maggior parte dei mille aerei che, in 78 giorni, effettuarono 38mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili sulla Serbia e il Kosovo.
Quale rapporto tra questi tre fondamentali eventi storici, di cui siamo stati protagonisti principali, oggi che la NATO si è estesa ad EST comprendendo altri paesi oltre a quelli che aderivano all’ex patto di Varsavia (1955, 1991), tutti ormai paesi schieranti basi NATO sino a ridosso dei confini con la Russia?
La Federazione Russa, un vicino di casa che ha dato un tributo enorme di vite (26 milioni le vittime dell’URSS nel secondo conflitto mondiale) nella lotta al nazismo, è oggi tenuta a distanza da una Europa sempre più lontana, ostile e provocatoria.

I dati dell’ONU prevedono una crescita sostanziale della sola popolazione africana che passerà dagli attuali 1,3 miliardi a 4,3 miliardi entro il 2100, arrivando a triplicare nei prossimi 80 anni. Negli ultimi 50 anni l’Asia ha registrato una rapida crescita della popolazione. Oggi la sua popolazione è di circa 4,6 miliardi. Entro il 2050 dovrebbe salire a 5,3 miliardi, ma poi cadere nella seconda metà del secolo ritornando ai dati odierni. Praticamente stabili le altre aree del pianeta. L’Europa vedrà, nel secolo in corso, una riduzione della sua popolazione da 747 a 630 milioni. Più di 8 persone su 10 vivranno in Asia o in Africa.

Non si può pensare che la popolazione possa diminuire in modo incruento in regime di povertà; sappiamo che la popolazione si stabilizza dopo la prima fase di crescita laddove ha insistito uno sviluppo economico sano, all’interno di stati sovrani democratici in cui si è saputa declinare l’economia in economia sociale e pubblica. Una sana stabilizzazione demografica è legata, ad un miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, che facilitano e catalizzano i processi di emancipazione culturale e civile e, soprattutto, alla acquisizione di pari opportunità per le donne, che le svincola dalla condizione storica in cui, ancora oggi, sono spesso relegate; tutto ciò è, però, realizzabile solo grazie a investimenti pubblici che consentono alle popolazioni di godere di un welfare per tutti, un welfare universale ottenibile in stati pienamente sovrani e democraticitra loro solidali e collaborativi, in grado di realizzare modelli economici centrati sulla risposta ai bisogni interni producendo beni di pubblico accesso.

Gli immigrati su scala globale non possono essere respinti né possono essere accolti tutti dignitosamente. Importante perciò che ai paesi costretti alla povertà cronica sia finalmente concessa la possibilità di autodeterminarsi in piena autonomia superando i micidiali vincoli imposti dalla prima e seconda colonizzazione.

Uscire dal sistema di guerra, ora
È necessario un movimento globale che possa indurre, se non costringere, alla affermazione di un’era che superi la volontà egemonico/imperiale degli USA a cui approdare evitando la guerra mondiale.
Chiediamo il rispetto dell’art. 11 della Costituzione. Solo essendo neutrali, secondo Costituzione, potremo finalmente tornare ad avere una nostra politica estera di relazioni autonomamente scelte evitando di partecipare ad embarghi che ci sono stati imposti contro altri paesi. Con l’articolo 11 l’Italia RIPUDIA la guerra e non concede se non limitazioni di Sovranità in condizioni di parità con gli altri paesi. Viceversa la Nato è sempre stata a comando USA. Pretendiamo un’Italia neutra e fuori dalla NATO; che la sovranità torni ad essere esercitata dal popolo come previsto al primo articolo della Costituzione. Nessuna Comunità nazionale che ne avesse facoltà, infatti, sceglierebbe la guerra di offesa a scopo egemonico, mirante alla sottomissione e alla rapina di altri paesi; i popoli, nella loro storia, hanno combattuto solo guerre di resistenza, cui sono stati costretti per ragioni di difesa.
È necessario che si compia, finalmente anche per l’Italia, una scelta di neutralità, come già Irlanda, Svizzera, Austria, Svezia, Finlandia.
Smantellare la NATO, in azione congiunta con altri popoli intenzionati a far ritirare la adesione dei loro Stati, potrebbe diventare un obiettivo che le tante organizzazioni, apertamente critiche nei confronti del suo operato, promuovano nei rispettivi Paesi.
Perseguire il disarmo totale, universale e simultaneo fino alla dissoluzione dei grandi blocchi militari, non è utopia; è piuttosto condizione necessaria alla possibilità di un futuro per l’umanità. Sarà indispensabile creare le condizioni affinché il welfare prenda definitivamente il sopravvento sul warfare. Una nuova alleanza dei popoli su scala locale e globale dovrà saper esigere la conversione dalle tecnologie di morte alle tecnologie della vita e l’abbandono delle politiche militari, sovversive del nostro ordinamento costituzionale.
Sarà necessario attivare un New Deal su scala nazionale e planetaria che affronti le crisi sociali ed economiche, catalizzate dalle grandi emergenze sociali ed ambientali attraverso una vera e propria trasformazione dell’economia che rimetta al suo centro l’uomo e il suo ambiente. Dobbiamo farlo nel segno di una nuova alleanza tra i popoli della terra dotati di nuova consapevolezza, di una coscienza planetaria in grado di riconvertire la forza e la capacità organizzativa degli eserciti in strutture di intervento finalizzate alla protezione civile e ai grandi programmi di ripristino della funzionalità degli ecosistemi terrestri. La conoscenza, coniugata alla forza trasformatrice del lavoro, la capacità di fare, nel rispetto della persona e dell’ambiente, organizzata nelle imprese, di una economia riconvertita alla esclusiva produzione di bene comune, diventerà la forza risanatrice per le generazioni future e per il pianeta che le ospiterà.

Autonomia non è l’opposto di apertura: è imparare come scegliere. Antagonizzarsi dualisticamente – o impastarsi acriticamente – al resto del mondo è altro che realizzarsi autonomi (…) partecipi di una complessa unità (sociale, cosmica) da conquistare.
Per il dominatore, pace è l’inquadramento degli altri nel suo ordine. Danilo Dolci

Smettiamola di appoggiare, complici, la criminale pratica delle sanzioni economiche e del debito vere e proprie armi di distruzione di massa contro i popoli e le loro organizzazioni nazionali… un popolo depredato della propria sovranità è un popolo schiavizzato, colonizzato, suddito… non è a caso che i costituenti al primo articolo della nostra Costituzione hanno ribadito che la sovranità appartiene al popolo e che la ricchezza la costruisce il lavoro. Insieme lavoro e sovranità garantiscono che il nostro paese possa essere una Repubblica democratica. Domandiamoci quanto abbiamo deviato rispetto alla traiettoria segnata dalla saggezza di chi ci ha preceduto
Le conquiste più importanti non sono per sempre. Sempre vanno difese e confermate…

La parola, infine, a Teresa Mattei, partigiana, comunista, madre costituente:

Non è democrazia la sovranità popolare. È un’altra cosa! Molto più profonda, molto più importante! Nell’articolo 1 si dice la sovranità appartiene al popolo, ma la sovranità è l’esercizio della democrazia? non lo è! È qualcosa di più, di profondo, di indivisibile da ogni uomo. Ogni cittadino passando dalla monarchia alla repubblica ha ricevuto un pezzo della sovranità del suo paese E SE LO DEVE GESTIRE IN PROPRIO SENZA MAI DELEGARLO A NESSUN ALTRO e questo il punto fondamentale in cui un paese può essere davvero sicuro della propria democrazia. La sovranità che appartiene a me a te a tutti, anche ai bambini appena nati perché anche per loro c’è un pezzo di questa sovranità non può essere regalata o data in gestione a qualsiasi altra persona. È il richiamo quotidiano al nostro essere cittadini. È IL RICHIAMO QUOTIDIANO A NON DIVENTARE SUDDITI e bastano pochissimi articoli della costituente delle premesse per capire cosa è la nostra costituzione (…) nei primi articoli 1,2 e 3 e poi non parliamo degli altri, dell’articolo 11 contro la guerra ecc. che noi possiamo vivere o morire come uomini liberi, come cittadini o ridiventare sudditi. Perché oggi si sta facendo tutta questa campagna, quattro buontemponi che sono andati in una baita, in Friuli, in un tre giorni, hanno cercato di disfare quello che noi abbiamo fatto in 600 persone, in 18 mesi, di lavoro, giorno e notte, a Roma, ottenendo dei risultati di votazioni quasi unanimi. C’era solo qualche elemento del MSI e qualche monarchico che non hanno votato degli articoli, non hanno nemmeno votato contro, si sono astenuti ma c’era, direi, una totalità di consenso perché le costituzioni si fanno non a maggioranza ma la quasi totalità dei cittadini deve potersi esprimere attraverso i propri rappresentanti e SI PUO’ FARLA SOLO CON IL VOTO PROPORZIONALE NON CON IL VOTO MAGGIORITARIO”

(1) Bisognerebbe viceversa tornare alla telefonia pubblica Con le parole di Livio Giuliani: “Avevamo una rete telefonica che sarebbe stata preziosa nello sviluppo (a costo zero) della telefonia mobile. Se non si è fatta (a discapito persino della saluta pubblica) è stato per ragioni che attendono alla struttura stessa del capitalismo. Il problema era, in quel momento, in cui era caduto il muro di Berlino, di desocialistizzare l’Europa. Bisognava che l’Europa che aveva fatto la scelta delle società pubbliche di telefonia (noi avevamo la SIP) consentisse che i nuovi competitors privati potessero sbaragliare il competitor pubblico”.

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